giovedì 7 aprile 2011

Uno gira il mondo per anni in cerca di sè stesso, e poi lo trova spaparanzato sul divano.

A me fa sorridere immaginare un tizio che ha viaggiato per il mondo in lungo e in largo ed una volta tornato nel salotto di casa sua, trova sul divano sè stesso che lo saluta con la manina esclamando "Oh, ciao!".
E questa è una interpretazione, la più immediata forse.
Un'altra ancora è immaginarsi la stessa situazione ma col divano libero, così che il tizio possa sdraiarsi per riposare finalmente le sue stanche membra dopo anni di intenso girovagare e di infruttuosa ricerca, e nell'istante successivo al sospiro scaturito dal sollievo della comodità ritrovata, realizza quale sia la vera natura: la poltroneria.
Ma in particolar modo, l'appartenenza al luogo dove è nato e vissuto.
Ma questa è l'esperienza del nostro tizio, che non è generalizzabile e applicabile su chiunque.
C'è chi dice che la nostra vera essenza la scopriamo quando ci troviamo in posti nuovi, lontani dal nostro habitat. A contatto con gente nuova e diversa, in situazioni mai vissute prima d'ora.
Nell'istinto sta la nostra vera essenza.
Però anche l'esperienza vuole la sua parte.
Prendiamo una situazione inusuale: venire rapinati.
Mhhh....forse non è poi così inusuale, soprattutto in tempacci come questi dove non esistono più le mezze stagioni e si sta peggio di quando si stava peggio...
Incontrare un orso?
Già più inusuale, ma se di mestiere fossi un ranger in un parco?
Essere rapinati da un orso, ecco.
È noto che quando si incontra un orso, ci si deve sdraiare in terra e fingersi morti. E nel caso dell'orso rapinatore lasciarlo libero di frugare con le sue zampone nelle nostre tasche per sfilarci il portafogli.
Questo non è nè istinto nè esperienza, ma una nozione insegnataci dai nostri educatori. E speriamo che funzioni sul serio, perchè mi è sempre sembrata una cazzata e non vorrei scoprire sulla mia pelle di aver sempre avuto ragione a riguardo.
Se questa nozione non mi fosse nota, magari perchè i miei educatori sono morti dal ridere ad immaginarsi un orso armato che rapina la gente alla fermata del bus (ahahahah....che roba!) allora ricorrerei all'istinto, e immagino che la mia reazione sarebbe la fuga o farmela addosso, dalla paura, o dal ridere alla vista dell'orso armato e con un buffo cappello in testa. Ma sono più propenso all'ipotesi della paura.
Ma se per assurdo, l'orso rapinatore si limitasse a rapinarmi senza sbranarmi, e successivamente mi incontrasse una, due, tre volte...la mia reazione sarebbe sempre la stessa? Oppure dopo un po' mi romperei i coglioni di dare i miei denari guadagnati col sudore (dei miei genitori) e allora sarebbe anche l'ora di dare una lezione a questo orso birbone?
E fu così che venni ucciso da un orso rapinatore con in testa un buffo cappello.
Però sono morto lottando!
E allora anche l'esperienza vuole la sua parte.
Ma in quale azione sono stato veramente me stesso?
Quando me la sono fatta addosso?
Quando sono stato ucciso a sprangate dall'orso?

Ad ogni modo, questo Me Stesso fa abbastanza schifo.


La avverto, non è la corazzata Potëmkin!

  • “Cazzo, speriamo non succeda anche oggi”
    Lo ripeteva nella sua mente come un mantra nel frattempo che si incamminava verso la piazza con passo lento, quasi di soppiatto, come se un simile andamento potesse renderlo invisibile nel mentre che si avvicinava all’arco.
    Ma se il corpo si muoveva tanto lentamente, il suo pensiero invece correva rapido e inarrestabile immedesimandolo in un bandito che si avvicinava furtivo verso l’ingresso della cittadella, cercando di non svegliare il feroce guardiano che si era appisolato durante la sua veglia. Il guardiano poteva essere qualsiasi cosa: un templare, un goblin, un drago…prendeva la forma di qualsiasi cosa tanto che il suo pensiero andava veloce. Ma il guardiano fu ancora più svelto nel destarsi accorgendosi del suo arrivo e bruciando ogni speranza di passare inosservato.
    “Guarda chi c’è, Cloretta! Il nipote della Dema!”
    “Cazzo, anche oggi!” fu il commento tra sé e sè di Cosimo, tredici anni, appena divorato dai becchi sdentate delle arpie messa a guardia dell’entrata della cittadella.
    “Guardate che giovinottone è diventato, eh! Quanti anni hai?”
    “Tredici”
    “Ah, ormai tu sei un uomo! Ti ricordi Cloretta quando era piccino?”
    “Bah me lo ricordo sì, Bruna, mica sono rincoglionita ancora! Ma non è passato anche prima con la motocicletta?”
    “No, quello era mio fratello…” rispose Cosimo con occhi e piedi puntati verso la piazza, sua prossima meta.
    “Ah già, anche lui ormai è un uomo! Quanti anni ha? Come te più o meno, no?”
    “Sei più di me, diciannove” disse coi talloni sollevati da terra, nella speranza che anche le punte potessero seguire l’esempio.
    “Oh mamma, come passa il tempo!”
    “Bah Bruna, loro crescono e noi si invecchia!”
    “Eh, ci tocca”
    “Ce l’hai la ragazzina?”
    “No”. E intanto batteva i piedi a terra sempre puntando la piazza, sperando di divincolarsi dalla morsa delle due arpie.
    “O che aspetti a trovare la ragazzina?”
    “Via Bruna! È giovane, ne ha ancora di tempo! Mica noi che tra poco si finisce sottoterra!”
    “Eh, ci tocca…O che ti scappa la pipì, bimbo?”
    Cosimo accelerò il suo scalpitio frenetico e colse la palla la balzo.
    “Sì, sì! Mi scappa!”
    “O che non la tieni già alla tua età? Alla nostra che fai?”
    “Via Bruna, fallo andare! Se gli scappa!”
    “Ecco, sì, arrivederci!”
    E si avviò verso la piazza di corsa, finalmente libero dal giogo delle due vecchie streghe. “Ogni volta è la stessa storia!” pensava tra sé e sé Cosimo, e poi si domandava come mai si ostinasse a continuare a passare da quella entrata per recarsi in piazza quando poteva sfruttare la strada sterrata che portava all’entrata opposta. Avrebbe allungato la strada, ma almeno non avrebbe dovuto incombere tra le grinfie delle anziane signore che passavano i pomeriggi sulla panchina affiancata all’arcata che portava alla piazza.
    E poi ancora si chiedeva il motivo per cui non le mandava semplicemente all’inferno come fece una volta Cristiano, un amico di suo fratello. Da allora le vecchie non si permisero mai più di spiccicargli parola di persona, compensando ciò lanciandogli anatemi ogni volta che lo vedevano passare sul suo scooter.
    Quell’impresa così sfacciata e maleducata valse a Cristiano il rispetto a vita della gioventù del paese, rendendolo quasi una leggenda.
    Anche Cosimo sarebbe divenuto popolare se avesse avuto il coraggio di rispondere tanto sgarbatamente a quelle streghe, se nono fosse stato per quell’impulso che lo frenava ed era da identificarsi nella buona educazione ricevuta da sua nonna, tra l’altro frequentatrice di quel trespolo di avvoltoi.
    “Ma ogni volta devono chiedermi le solite cose? E perché mi scambiano sempre per mio fratello?” si domandava Cosimo proseguendo lungo la piazza.